Il declino del ministro San Giuliano, tra sogni infranti e scandali clamorosi
È una parabola discendente quella del ministro Gennaro San Giuliano, l’uomo che ha saputo cavalcare l’onda dal giornalismo alla politica, per poi naufragare in un mare di scandali e menzogne. Era un tempo l’intellettuale della destra, la punta di diamante di un rigorismo morale che si vantava incorruttibile. Oggi, però, si trova al centro di una farsa che non solo imbarazza l’opposizione, ma suscita scherno in Europa e nel mondo. Meloni, consapevole del pericolo, sa di dover correre ai ripari, per non rischiare di trovarsi a fare harakiri politico.
Il sogno del primato della cultura italiana, brandito come vessillo dal ministro, si infrange oggi sui mezzucci e i sotterfugi di una gestione ministeriale opaca e traballante. Il caso Boccia è solo l’ultimo atto di una tragedia in divenire: una nomina mai formalizzata ma già millantata, viaggi rimborsati dal ministero, e un continuo rimpallo di responsabilità tra dichiarazioni smentite e nuove rivelazioni. La verità, sembra, è un campo di battaglia su cui San Giuliano si muove con l’abilità di un elefante in una cristalleria.
La destra, che del rigore e dei valori morali ha fatto il suo vessillo, si trova a tradirli nei fatti, e non per la prima volta. Il declino di San Giuliano rappresenta un monito: l’intellettuale di una banda di acculturati alla bell’e meglio si rivela oggi meno utile di un semplice yes-man che non cagiona problemi. Meglio un asino fedele che un professore ambizioso e scomodo. È la regola aurea del potere: chi non è allineato, chi disturba l’ordine costituito, deve essere sacrificato sull’altare della stabilità.
San Giuliano ha osato sfidare l’universo, forse attratto da quella giovane bionda musa, Maria Rosaria Boccia, che con la sua mela avvelenata sembra aver sedotto un ministro incauto e sprovveduto. Nel paradiso terrestre ministeriale, l’albero della conoscenza ha prodotto frutti proibiti, che l’Eva del caso ha prontamente offerto al suo Adamo. E così, tra occhiali-spia e carte d’imbarco, il sogno di una cultura italiana primatista si dissolve nel ridicolo.
Il ministro si difende, affermando di aver bloccato la nomina quando la questione è diventata privata, ma le versioni fornite sembrano cadere a pezzi a ogni nuova smentita dell’influencer Boccia. Tra bugie mal celate e difese deboli, San Giuliano si è infilato in un labirinto da cui pare impossibile uscire senza danni. E mentre Meloni valuta come intervenire, la sacra spada della vendetta politica potrebbe pendere sul capo di un reprobo che ormai non fa più la differenza.
Era un intellettuale, certo, ma di quelli che la destra sbandiera per darsi un tono, senza mai davvero affidarsi a loro. San Giuliano, per quanto brillante, non ha saputo fare la differenza. Meglio un yes-man, meglio qualcuno che non scateni cicloni con le sue scelte personali e le sue battaglie d’immagine. L’errore di San Giuliano è stato quello di credere di poter gestire la politica con la stessa disinvoltura del giornalismo. Ma il potere non è una redazione: è un campo minato dove ogni passo falso può essere fatale.
Nel frattempo, l’opposizione ride con scherno, pronta a sfruttare ogni gaffe, ogni scivolone. E l’Europa guarda incredula un governo che, anziché dedicarsi a rilanciare il paese, sembra essere sempre più assorbito da piccoli grandi scandali. San Giuliano, l’uomo che doveva essere l’intellettuale della destra, è oggi il simbolo di un fallimento. Un fallimento personale, certo, ma anche collettivo, di un rigore morale che si sbriciola sotto il peso delle sue stesse contraddizioni. La lezione è amara, ma necessaria: il potere, alla fine, preferisce chi non rompe le palle.
