“Savona invasa dalle penne nere”, ma anche “3 giorni di sfilate per le vie della città”, insomma…di titoli così in questi giorni ne avrete letti in qua e in là. In effetti abbiamo potuto offrire ai nostri “fratelli, vicini di casa” una Savona tirata a lucido per l’occasione, organizzata con la viabilità modificata e tutto ciò che di bello e panoramico poteva offrire con la propria cornice naturale a tutti quei gruppi che, in queste tre giornate, hanno sfilato e riempito le vie con i loro stendardi e le divise. Chi li ha visti così si sarà sicuramente emozionato, inorgoglito, stupito, perché questa è l’associazione d’arma più numerosa al mondo, non a caso. Io invece ho voluto avvicinarmi in una versione un po’ più intima, andando in mezzo a loro, nel vero senso della parola, oggi, a pranzo, con una delle tante sezioni partecipanti all’evento, quella di Casale Monferrato. L’impatto è bello. Il ristorante si riempie di uomini, i più tanti dei quali con i capelli ormai “sale e pepe”, in effetti “Eh di giovani non ce ne sono mica più tanti da quando non c’è più la leva obbligatoria, magari qualche simpatizzante”, mi fa notare Umberto, seduto di fianco a me. Ci sono anche le consorti, fedeli compagne, e il vino nero sulla tavola (un gradevolissimo Nebbiolo) sarà il tramite lungo la giornata per i tanti brindisi accompagnati dal canto “cin cin, viva gli alpin”. Intervisto il Capogruppo della sezione Nord, Piero Guarnero,, che mi spiega un po’ come funziona l’ordine della sfilata, a partire dal Vessillo, in prima fila, composto dalla sezione e le varie onorificenze, scortato dal capogruppo, i 2 vicepresidenti, il consiglio di sessione, i sindaci, capigruppo, con i gagliardetti e infine tutti gli alpini. Casale, ad esempio vanta di 4 medaglie d’oro al valor militare e una al valor civile. Ma è Giovanni Colombi, il consigliere di sezione, che quando capisce che prendo appunti lascia andare il cuore ai ricordi, parlando di un lontano 1977 che lo vide operante subito presso la Montegrappa di Torino e a seguire a San Giorgio Cremano (Na) facendo il corso di radiotelegrafia. Proprio in uno dei tanti servizi, un giorno ricevette uno strano codice e non appena lo comunicò smontarono il campo base in un lampo….doveva essere qualcosa di grave, e in effetti, gli avevano appena comunicato la notizia del rapimento di Aldo Moro. L’emozione è palpabile. Ognuno mi racconta la sua storia, come Gabriella, mamma del caposezione di Casale Sud, assente per malanno, ma lei, donnina tutta d’un pezzo gira con nello zainetto “la stupida” che mi spiega essere il berretto militare con visiera, per i simpatizzanti, in uso a tutti i corpi dell’esercito italiano ma denominato così dagli alpini. Lei racconta da mamma di quando il figlio Marco partì per la missione “Albatros” in Mozambico, nel ’93, come portatore di pace per le truppe dell’ONU “che allora mica c’erano i telefonini come adesso” mi dice. Poi ognuno aggiunge un particolare, mi raccontano delle tante iniziative, delle convenzioni con i comuni del territorio per i lavori socialmente utili, dei concerti per raccogliere fondi per la sala di odontostomatologia e che l’anno passato hanno regalato, attraverso le raccolte grazie alle loro iniziative, 4 postazioni post operatorie all’ospedale di Casale. Si respira un clima bello in quel ristorante. Persone, neanche più tanto giovani, che hanno ancora voglia di fare, dare, che hanno progetti. Chiedo loro “è questo che significa essere Alpini?” è sempre Umberto a rispondermi “un Alpino è una fratellanza, far parte di questo corpo significa che prima non ti accorgevi di tante cose, di cosa succede intorno, poi ti sensibilizzi”. Mentre parliamo parte il primo coro, alzo il bicchiere anche io, in segno di comunione, la serenità è palpabile, la voglia di stare insieme “anche se siamo più pochi”, come afferma Giovanni è davvero tanta. Un conto, credo, è vederli sfilare, da spettatrice, un conto è come ho fatto io oggi, da “reporter” in diretta, entrando nel vivo dei loro racconti, dei ricordi, per capire veramente CHI SONO questi uomini col cappello dalla penna nera. E se ancora non lo avessi capito durante il pranzo, la prova di comunione e aggregazione l’ho avuta netta davanti agli occhi verso la fine, quando, quelli della sezione Manta di Saluzzo, si sono alzati in piedi per raggiungere il nostro tavolo e intonare, tutti insieme “Era una notte che pioveva”. L’ho cantata anche io, con a seguire “Piemontesina bella” e qualche altra ancora, felice per questo regalo che mi sono fatta, 3 ore con un gruppo che prima di risalire sul proprio pullman per tornare a casa mi saluta dicendomi “Ah scrivi quale è il nostro motto se fai l’articolo eh”. Certo.
“Il nostro fronte è la solidarietà!”.
Fatto! Evviva gli alpini! Tutti.
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