Sono anni che, approfittando di ogni piccolo appiglio, ci gettiamo a capofitto su critiche e menzioni cruente di ogni tipo, contro la Sanità Pubblica (SP). Non siamo contenti di come ci curano, di come ci ascoltano, dei tempi di attesa, dei costi dei farmaci, del ticket, e di tutti i contorni. Spesso, dalla parte delle critiche, ci si mettono i danni alle infrastrutture, ai macchinari, alla mancanza del personale, medico e tecnico, specializzato nelle varie mansioni. E qui si aprirebbe un ulteriore vaso di Pandora. E giù con le “bastonate” su tutta la linea. Ho detto “bastonate”? Purtroppo non sono solo immaginarie. Ogni giorno leggiamo di aggressioni a medici e paramedici, e non solo a parole. Ho assistito personalmente ad un paio di aggressioni verbali (una si stava trasformando in qualcosa di peggio e, per fortuna, è intervenuta prontamente la forza pubblica), iniziate per futili motivi di bolli o orari, o, addirittura, perché la macchina distributrice di bevande e merendine, non ha dato il resto o il prodotto desiderato, accusando gli addetti alla reception, di cose ignobili. Questi esseri, stressati dai vari problemi, si rifanno sempre con persone incolpevoli, finché non trovano chi è più forte di loro. Ma voglio raccontarvi di uno dei fatti accaduti ad uno dei tanti in cura presso un ente nazionale. Fatto realmente accaduto e, dove, per professionalità e privacy, non farò nome. Qualche giorno fa, questo signore, di Savona (la città la nomino per darvi delle coordinate), avrebbe dovuto recarsi in quel di Genova, presso il centro Ospedaliero Duchessa di Galliera, per un’operazione di breve entità, ma pur sempre una di quelle da farsi in day hospital. L’incaricata al ricevimento, però, lo chiama in mattinata, per avvisarlo che si era liberato un orario e, se, avesse potuto raggiungere anticipatamente l’ospedale, sarebbe stata cosa fantastica. Il mio amico accetta e, conoscendo le prospettive per i posteggi nel capoluogo, corre alla stazione ffss di Savona, dove scopre che i treni hanno tra i 40 e i 50 minuti di ritardo. Torna all’auto. Si immette sulla A10. Dopo pochi chilometri i pannelli luminosi di segnaletica, avvisano della chiusura del tratto tra Varazze ed Arenzano, per incidente, direzione Genova. Decide di uscire dalla A10. Trova un posteggio libero a Varazze. Corre a prendere il primo treno x il capoluogo. Sale e dopo 50 minuti scende a Brignole e si dirige a tutta birra verso l’ospedale, constatando che, pur prendendo un taxi, era tutto bloccato, e non avrebbe recuperato assolutamente il tempo perso. Appuntamento intorno alle 11, arrivo alle 11,20ca. A questo punto chiunque avrebbe inveito contro la giornata, iniziata nel peggiore dei modi. Si avvia trafelato nel reparto. E qui scatta quello che, i soliti, non si aspettano : viene accolto in modo cordiale, da persone sorridenti, addirittura scherzose, che lo mettono subito di buon umore. Anche lui è persona bonacciona, calmo, che difficilmente si infiamma, e, tra battute e descrizione dell’operazione, si rilassa. Al risveglio, da fine trauma, viene accolto ancora da sorrisi a 3mila denti, da parole quasi bisbigliate, con dolcezza, da persone che gli si rivolgono con calma, chiedendo dello stato di salute e mettendolo a proprio agio. Viene condotto, a smaltire ” l’ubriacatura da sonnifero” nel vicino locale, assistito continuamente, dalle addette ai post, nonostante, all’interno della sala operatoria, si stia eseguendo altro intervento. Assiste, non vedendo, all’intervento e scopre che, lo stesso trattamento, viene riservato anche all’altro paziente. Passa qualche ora. Il nostro esce dall’ospedale, sulle sue gambe, accompagnato per un tratto da uno degli operatori. Mentre ritorna a casa, con uno dei tanti treni, squilla il telefono. L’addetta al ricevimento dell’ospedale voleva accertarsi ancora una volta dello stato di salute, e con cordialità si congeda. Al mattino dopo, altra telefonata, sempre da parte dell’operatrice, e sempre sul tema salute e raccomandazioni. Ecco. Mi sono dilungato ma sono sicuro che, se leggete tutta la prima parte di getto, quasi facendovi venire il fiatone, avreste certamente stramaledetto quel giorno. Invece, quello è stato un giorno benedetto. Persone normali, che fanno un lavoro stressante e con particolare attenzione alla sicurezza ed igiene, lo hanno preso sotto la loro ala, come una chioccia coi pulcini, coccolato, curato, con le dovute attenzioni, lo hanno trasportato dall’inizio alla fine del viaggio. Persone come noi. Persone che dedicano la propria vita agli altri. Persone sempre sotto la lente di chi è capace solo di criticare e non vedere cosa veramente c’è sotto quel camice. In ordine alfabetico, per non far torto a nessuno, Anna, Antonio, Arta, Mattia, Nadia E., Nadia M., Rita…..questi sono solo alcuni della Sala 5, che hanno operato in equipe. Persone. Come noi. Fanno parte di una categoria che meriterebbe rispetto solo perché fanno un lavoro con dedizione. Una missione. Non portano orologio. Il rispetto non si compra, e queste persone lo meritano tutto, assieme alla fiducia. E non andatemi a cercare la scusa delle morti sotto i ferri. Loro fanno sempre più di quanto richiesto. A nome di tutti quelli che hanno avuto, ed avranno, lo stesso trattamento GRAZIE.
Natale Caminiti.
