Silvia Calcagno ritorna sulla scena albissolese del Pozzo Garitta per ricevere il premio del Comitato di rigore artistico del 2015, assegnatole il 6 agosto, dove espone, per l’occasione , una delle sue composizioni di ceramica a “tessere” fotoincise.
Un ritorno che, come da lei, non può passare inosservato ed anzi, come da lei, lascia un segno originale, personalissimo, sconvolgente e geniale. Così come è stata sconvolgente e geniale l’opera che le è valso il conferimento, sempre quest’anno, del Premio Faenza; si trattava, come abbiamo appreso, di un pannello composto di duemila tessere, nel contesto di un’”installazione” comprendente una parte sonora.
I lavori di Silvia Calcagno ci fanno porre la domanda su che cosa potrà essere l’arte del futuro, la ceramica dei tempi a venire, ci mostrano che la creazione artistica può avvalersi di mezzi nuovi, magari considerati antitetici rispetto a ciò che comunemente si ritiene possa rappresentare il modo per comunicare valori artistici.
Silvia Calcagno, che pure ha lo studio nella centrale e pittoresca via Repetto, è l’”Enfant terrible” della caramica albisolese oppure è di formazione o, meglio, di permanenza albisolese ma guarda più in là, superando anche quelle esperienze futuriste o spazialiste che , ai tempi mitici di Tullio – Mazzotti – d’Albisola, videro il nostro centro della ceramica essere frequentato o scelto come luogo d’approdo da personalità come Fontana, Jorn o Farfa?
E’ affascinante comunque pensare che le Albisole sono state inizialmente il paese delle “pentole” e delle figurine del presepe per passare ai bellissimi vasi e piatti del “bianco-blu”, per poi divenire luogo d’incontro di illustri nomi dell’arte ed ora, per ospitare una personalità come Silvia che è capace di “mettere in scena”, nel vero senso della parola,un messaggio per certi versi complicato ed arduo, se non addirittura ostico, per taluni altri, di richiamo di talune esperienze che hanno lasciato il segno nell’arte contemporanea, e ciò pare evidente specie nel pannello esposto ora al Pozzo Garitta. Silvia Calcagno è la protagonista della sua arte,è lei che si ritrae, che si “svela”, in tutti i sensi, che confessa le sua angosce, visibili talvolta nei suoi sguardi ed in taluni suoi atteggiamenti, che riproduce l’immagine di qualunque particolarità del corpo, del suo corpo e ci fa comprendere come possa, tale esibizione, divenire il senso della rappresentazione artistica, che riesce a coinvolgere l’osservatore con le proprie idee fisse e coi propri gesti ed a fargli quindi comprendere come l’”assolutezza” dell’oggetto artistico possa essere situata proprio nella persona dell’autore che, in tale modo, è soggetto ed oggetto al tempo stesso, ma sarebbe meglio definirlo “protagonista”, anche se è pur sempre dire poco…
Al tempo stesso non si possono escludere, nel contesto figurativo di Silvia, un richiamo, un’allusione, dei modi di espressione riconducibili alla “Pop Art”, a Andy Warhol, alla “Body Art” persino, pure se in una attitudine, sotto quest’ultimo profilo, che non è proprio quella dell’usare il corpo per esperimenti cromatici o per “performance” declamatorie…anche se Silvia declama molto di più e si esibisce molto di più, se vogliamo, sino a volere esprimere e comunicare qualcosa di essenziale, su sé stessa, ma di un’essenzialità che passa dalla fisicità più concreta, non un’astrazione mentale!
La pittrice fiorentina Daniela De Lorenzo è impegnata in una ricerca a volte simile, usando se stessa, cercando di riprodurre persino i suoi arti in una veduta, se possibile, dall’interno di essi, con l’impiego del feltro, che si presta alla piegatura ed alla pigiatura…
Le esposizioni di Silvia Calcagno, spesso, prendono la forma dell’”installazione” , ovvero di una rappresentazione cui concorrono effetti sonori, di luce, di posa in opera; quanto era stato realizzato nella personale, sempre al Pozzo Garitta , del 2012; allora sotto un profilo di particolare sofferenza,di ansia, di afflizione…
Il pannello esposto ora, pur sempre frutto di un apporto in cui concorre la fotografia, apre invece la visuale da un’altra angolazione,suggerendo l’idea che la banalità di un gesto o di un qualche cosa di sé stessi, come potrebbe essere una scarpa o pochi fiori tenuti in una mano o le dita della mano, continui a raccontare la storia “assoluta” di una personalità che si è “data”, con tutto, compresa la materialità del corpo ed anzi, in primo luogo proprio attraverso di essa, alla causa del messaggio dell’arte!
Giorgio Siri
